Nella sua serata conclusiva il Matiff consegnerà il premio Visconti a Marco Tullio Giordana, regista e sceneggiatore di due dei film più popolari e celebrati degli ultimi vent’anni, I cento passi e La meglio gioventù. La sua è però una carriera ultra quarantennale, nella quale è emerso come continuatore di una certa tradizione del cinema italiano, quello di impegno civile degli anni 60 e 70. La memoria e il passato, più o meno recente, hanno caratterizzato il suo cinema sin dagli esordi. Giordana si è confrontato con la contestazione, il terrorismo, la lotta alla mafia e l’immigrazione, con casi di cronaca e giudiziari, dal delitto Pasolini alla scomparsa di Yara Gambirasio, sempre con passione. Ma il suo sguardo si è posato anche sulle piccole storie inserite in un contesto più ampio, storie di genitori e figli, di relazioni umane.

Forza Italia!

Il suo debutto da regista (Maledetti vi amerò, 1980) è preceduto dalla partecipazione a un cult della cinematografia italiana. Come racconta nel libro-intervista di Andrea Bigalli Immaginare la realtà. Conversazioni sul cinema, intorno alla metà degli anni 70 Giordana conosce il regista Roberto Faenza. Faenza vuole realizzare un film di montaggio sulla Democrazia Cristiana e per accedere ai contributi per il cinema decide di dar vita a una cooperativa. Manca però una persona per raggiungere il numero minimo di soci richiesto: nove. Quella persona sarà proprio Marco Tullio Giordana. Sceneggiato da due futuri protagonisti del giornalismo italiano, Carlo Rossella e Antonio Padellaro, il film si compone di una serie di sequenze di repertorio sulla storia del partito, dalla Ricostruzione ai comizi per il referendum sul divorzio. L’intento è satirico e prende di mira i notabili del partito: De Gasperi, Fanfani, il presidente della Repubblica di allora Leone, ripreso nel suo gesto iconico delle corna. Forza Italia! esce nel febbraio del 1978, inevitabilmente tra molte polemiche, ma è anche un immediato successo di pubblico con 300mila spettatori in soli due mesi. Gli unici due in cui è possibile vederlo, perché il film sarà ritirato dalle sale il giorno del rapimento Moro e poi bandito dai circuiti televisivi. Per Giordana, però, si tratta di un’importante esperienza formativa. Collabora con Faenza, osserva da vicino il montatore del film, Silvano Agosti, e per la prima volta si relaziona con la storia e l’attualità come materiale filmico.

Notti e nebbie

Giordana ha più volte diretto film per la televisione. Il primo risale al 1984, con la trasposizione del romanzo di Carlo Castellaneta Notti e nebbie in una miniserie in due parti trasmessa su Rai 2. Il protagonista è Umberto Orsini, anche lui premiato in questa edizione del Matiff insieme a Giordana, e che tornerà a lavorare con il regista in Pasolini, un delitto italiano. Orsini dà prova di tutto il suo talento da attore. Un’interpretazione misurata per un ruolo molto difficile, quello del commissario di Polizia Bruno Spada nella Milano della Repubblica Sociale Italiana impegnato nelle operazioni di vigilanza e informazione alla vigilia dell’arrivo dei partigiani. Davanti al disfacimento della RSI, il protagonista mantiene la sua dignità, il suo rigore etico in opposizione a quello che percepisce come atti di vigliaccheria e opportunismo. Il racconto, immerso in atmosfere crepuscolari, è vicino a certo cinema di Visconti, Cavani e Bertolucci. Anche in questo film Giordana mette in scena la storia e si spinge davvero indietro nel tempo, a un periodo controverso sul quale ritornerà anni dopo con Sanguepazzo, il film sulla coppia di attori Luisa Ferida e Osvaldo Valenti (in Notti e Nebbie viene anche mostrata una sequenza di un loro film).

L’ultima regia è per un film del 2021, uscito su Netflix, di cui Giordana non ha tuttavia curato la sceneggiatura. Ancora una volta le storie di ieri fanno ingresso nel suo cinema: il caso di Yara Gambirasio, scomparsa vicino Bergamo nel novembre 2010 e ritrovata morta tre mesi più tardi. Oltre cinque anni di fatti sono stati condensati in un’ora e mezzo di film. Al centro ci sono le indagini della pm Letizia Ruggeri che hanno portato a individuare,  tramite la prova del DNA, il profilo del colpevole. Sono tanti i temi anche solo lambiti dal film. Quello Gambirasio è stato tra i casi di cronaca più cannibalizzati dal sistema informativo, soprattutto dalle televisioni. Questo Giordana lo ricorda, inserendo anche spezzoni di cronaca televisiva con immagini di repertorio, senza trascurare riferimenti alle pressioni dell’opinione pubblica sugli inquirenti e al circuito mediatico-giudiziario scatenatosi intorno al caso. Il regista, però, si sofferma anche sul dramma dei genitori, in particolare della madre, accostato alle ansie del tenace magistrato. Il film cerca di rendere giustizia alla memoria di Yara, a cui vengono restituiti un corpo e una voce, con i pensieri di una ragazzina di soli tredici anni annotati sulle pagine del suo diario.